Il Giardino dei libri

domenica 21 giugno 2015

Solstizio d'Estate

SOLSTIZIO D’ESTATE 

Il Solstizio d’estate è anche detto Litha o Le Erbe.
Il 21 Giugno è conosciuto come il giorno più lungo dell’anno, in quanto il Sole culmina allo zenith, cioè nel punto più alto della volta celeste.
Nell’esatto mezzogiorno astronomico le ombre degli edifici e dei pali scompaiono del tutto; al tropico del Cancro è possibile osservare l’immagine del disco solare nel fondo dei pozzi, riflesso dall’acqua anche a decine di metri di profondità e lo stesso fenomeno si ripete il 21 dicembre (solstizio d’inverno) al tropico del Capricorno.
La durata del giorno è massima nell'emisfero boreale e minima in quello australe. Le giornate iniziano a decrescere nell'emisfero boreale e a crescere in quello australe. Il Sole sorge a Nord-Est e tramonta a Nord-Ovest.

Il termine “Solstizio” significa “Sole stazionario” e indica che in quel momento il Sole né si alza né si abbassa rispetto all'equatore celeste, sembra cioè fermarsi, per alcuni giorni, in un punto preciso, sorgendo e tramontando sempre nella stessa posizione, finché, il 24 Giugno (o il 25 Dicembre) ricomincia a sorgere, giorno dopo giorno, sempre più a sud sull’orizzonte, determinando, in maniera graduale l’allungarsi o l’accorciarsi delle giornate.


Un riferimento astronomico molto importante, come abbiamo visto è l’equatore celeste. Si tratta della proiezione (immaginaria) sulla volta celeste dell’equatore terrestre: è un semicerchio e mostra il percorso del Sole. Durante gli equinozi (primavera e autunno) si ha parità fra giorno e notte: dodici ore di luce e altrettante di buio. In tutti gli altri giorni dell’anno il percorso giornaliero del Sole è parallelo all’equatore celeste: in primavera ed estate si ha un percorso maggiore dell’equatore celeste, quindi il giorno prevale sulla notte, in autunno e inverno accade esattamente il contrario.
Molti credono che il 21 Giugno sia l’inizio dell’estate, ma non è così: l’estate inizia a Beltane, il 1 Maggio. Il 21 Giugno è quando l’estate raggiunge il suo culmine, ed è per questo che Litha è anche chiamata Midsummer (mezz’estate, per citare Shakespeare).
È il momento in cui si festeggia la fine dell’anno crescente e l’inizio di quello calante.
Uno fra gli scritti più pregnanti di René Guénon, il metafisico di Blois scriveva: “Per quanto l’estate sia in genere considerata una stagione gioiosa e l’inverno una stagione triste, per il fatto stesso che la prima rappresenta in certo modo il trionfo della luce e il secondo quello dell’oscurità, i due solstizi corrispondenti hanno nondimeno, in realtà, un carattere esattamente opposto […]. Infatti, ciò che ha raggiunto il suo massimo può ormai solo decrescere, e ciò che è giunto al suo minimo può invece solo cominciare a crescere”.
Il clima segue invece un ritmo sfasato: le temperature più calde dell’anno giungeranno dopo il solstizio estivo, per via dell’inerzia termica: anche per questo non tutti si avvedono pienamente della “crisi” che caratterizza il periodo solstiziale.
Entrambe le feste solstiziali hanno origini antichissime: le troviamo già migliaia di anni prima dell'era cristiana, legate a culti della fertilità nelle prime società agrarie a noi note, da quelle della valle dell'Indo a quelle accadiche, mesopotamiche e nilotiche.
Ma possiamo anche andare molto più indietro nel tempo, alle origini stesse della ritualità pre-istorica, ai culti solari legati alle stagioni. In tal senso pensiamo a Stonehenge, o alle feste di Rama. La festa d'estate era quella della Riconoscenza, in cui gli agricoltori offrivano le messi copiose del raccolto agli dei generosi e benevolenti.
Fin dall'era antica gli uomini avevano notato certi movimenti astronomici. Inoltre in questo giorno il Sole, simbolo del fuoco, entrava nel segno del Cancro, segno d'acqua dominato dalla Luna. Così, secondo l'immaginario, il Sole e la Luna, il fuoco e l'acqua, si univano. La luce e l'ombra, il maschio e la femmina, il positivo e il negativo: quando tutto si fondeva, si otteneva un "matrimonio divino" e si generavano energie positive e benefiche sull'intero pianeta. Simbolicamente questo fenomeno è rappresentato dalla stella a sei punte dove il triangolo di Fuoco e il triangolo dell’Acqua si incrociano. Tali nozze segnavano il passaggio tra il mondo dell’uomo con il mondo divino, eterno. Tali nozze divine e sacre simboleggiano la genesi e il mondo manifesto, segnano il passaggio tra il mondo dell’uomo, spaziale e temporale, con il  mondo divino eterno. All’inizio il creato esisteva come un tutto spirituale, poi grazie alle nozze divine sempre rinnovate avviene la “discesa” nella materia e con essa la suddivisione in due poli: maschio e femmina, luce e tenebra, positivo e negativo.
Secondo gli antichi, la luna, l’acqua del mare e la donna erano la stessa cosa: rappresentavano il mistero della vita, il solstizio era visto come il giorno   della fecondazione, le acque e la terra in quanto generatrici di fecondità e fertilità rappresentavano gli strumenti e i segni per stabilire il rapporto con il sacro al di fuori della dimensione umana, possiamo a questo proposito ricordare il culto della Grande Madre Terra. Ancora oggi continua il culto delle acque, sante o benedette, come purificatrici e generatrici perché le acque sembrano possedere e ripetere il meccanismo della creazione e della crescita, basta pensare a tutte le fonti miracolose sparse su tutta la terra.

Le antiche tradizioni collegavano questo periodo dell’anno con la comunicazione diretta fra visibile e invisibile.
Litha portava con sè molti rituali legati alle fate. Si diceva che il piccolo popolo, gli elfi e le fate, potessero essere visti con più facilità nella notte del solstizio perché il velo fra i due mondi era più sottile.
È facile quindi intuire come l'evento suggerisse una serie di pratiche magiche e di celebrazioni. L'umanità omaggiava il Sole, fonte e simbolo principale della vita e del divino, che si ergeva. Il cambio del percorso del Sole, che dal 24 giugno riprendeva la sua corsa, era visto come un ripartire del ciclo stesso della vita.
Le feste del solstizio sono state celebrate da sempre in tutte le culture umane. Per gli antichi greci il solstizio estivo era la "porta degli uomini", attraverso la quale si accedeva al mondo della creazione. Alfredo Cattabiani scrive nel suo “Lunario”: “Omero descriveva nell’Odissea un misterioso antro dell’isola di Itaca nel quale si aprivano due porte. Il poeta spiegava che la porta degli uomini è rivolta a Borea, cioè a Nord (e infatti al solstizio estivo il sole si trova a nord dell’equatore celeste), mentre quella degli dèi e degli immortali è volta a Noto, ovvero a sud, perché l’astro al solstizio invernale si trova a sud dell’equatore.”
Nell’America precolombiana, in Perù, il dio Sole (Inti), personificato dall'imperatore, riceveva in sacrificio animali, frutta e altri raccolti, tutti elementi insomma legati alla natura e tutto ciò affinché il dio fosse propizio in vista dei raccolti estivi.
Il solstizio era inoltre un giorno importante anche nei riti celtici e in quelli indoeuropei. La trasversalità di queste tradizioni, comuni a popoli così diversi, è facilmente spiegabile. I riti e le pratiche erano basate sulla semplice osservazione dei corpi celesti; questi fenomeni erano visibili in tutte le zone del mondo, da tutte le culture.
Le giornate solstiziali nelle tradizioni precristiane erano sacre e ancora oggi ciò si riflette in una festività cattolica che cade qualche giorno dopo il solstizio canonico, al 24 giugno, quando nel calendario liturgico della Chiesa latina si ricorda la natività di San Giovanni Battista, che sarebbe nato esattamente sei mesi prima di Cristo. Il 25 dicembre, giorno in cui il sole ricomincia la sua corsa dopo il solstizio d'inverno, coincide invece con il Natale.

Nell’antica Roma i due solstizi erano consacrati a Giano bifronte, il dio guardiano delle soglie e dei passaggi. Egli tiene nella mano destra un bastone simbolo del potere regale e nella mano sinistra una chiave simbolo del potere sacerdotale. Era festeggiato ai due solstizi ed è stato rappresentato con due volti, uno barbuto e l’altro giovanile o femminile a secondo delle interpretazioni. Giano rappresenta colui che ruotando sulla sua terza faccia invisibile, cioè l’asse del mondo, conduce alle due porte solstiziali, quindi è colui che accompagna il passaggio da uno stato all’altro, è l’Iniziatore.
Secondo l’etimologia della parola Ianus proviene da yana in sancrito via e da ianua in latino porta.
Successivamente, con il cristianesimo, Giano è stato sostituito da i due Giovanni, S. Giovanni Battista per il solstizio estivo che rappresenta il Cristo creatore e S. Giovanni Evangelista per il solstizio invernale che rappresenta il Cristo  che apre la porta del cielo. La somiglianza fonetica tra Ianus e Joannes è evidente e il nome Giovanni deriva dall’ebraico Jehôhänän composto da Jahweh, dio e da  hänän che ha doppio significato di : misericordia o lode.
Il Battista decollato, che il folklore chiama anche “Giovanni che piange” a causa del suo destino, è colui che introduce gli esseri nella “caverna cosmica” e si identifica con il sole del solstizio d’estate attraverso le sue stesse parole note attraverso il testo evangelico: “Non sono io il Cristo, ma io sono stato mandato innanzi a lui… Egli deve crescere ed io invece diminuire”.
Il sole di S. Giovanni è il sole che muta direzione, “colpito a morte” perché appare sempre più basso all’orizzonte.
Tutto il mondo vivente  nella notte tra il 23 e 24 subisce un influsso positivo.
Agli antipodi, anche se con uno spostamento di due giorni dovuto alla coincidenza con il giorno di Natale – ecco l’altro Giovanni (l’Evangelista, il 27 dicembre), il “Giovanni che ride”, ovvero colui che rivolge gioiosamente lodi al Signore, custode della “porta del Cielo”. Insieme, i due Giovanni rifletterebbero – collegati ai solstizi – le funzioni del Cristo come “chiave” delle due porte.

Gruppi neopagani e neodruidici celebrano ancora oggi il giorno di “Midsummer” e i riti solstiziali che si svolgono in particolare a Stonehenge richiamano sempre migliaia di persone. Tra le pietre di Stonehenge, luogo "magico" per eccellenza, c'è un monolito chiamato "heel-stone": fu posto in modo tale che si potesse scorgere il sole all'orizzonte nel giorno del solstizio d'estate.
I nuovi druidi chiamano questo periodo Alban Heruin, tempo dell'espressione.
Comunque i giorni solstiziali includono alcune fra le celebrazioni più popolari dell’ Occidente e in molte zone d'Italia ancora oggi si svolgono riti e feste di origine pagana, che la Chiesa ha cercato di cancellare, non riuscendoci completamente, perché tali credenze sono radicate nelle usanze popolari. Così, nel corso del tempo, c’è stato un mischiarsi di tradizioni antiche, pagane e ritualità cristiana, che ha dato origine a credenze e riti in uso ancora oggi, soprattutto nelle campagne. Nella festa di S. Giovanni, quindi, avvengono delle celebrazioni con questa strana mescolanza di elementi sacri e profani, ritroviamo echi di riti indoeuropei e celtici, che esaltano i poteri della natura: i poteri della luce e del fuoco, dell'acqua e della terra, delle erbe e dei fiori.

Il fascino della festa patronale dedicata a S. Giovanni risiede ancora oggi nei fuochi che si accendevano (e da qualche parte tuttora si accendono), facendo ardere mucchietti di resina, per andare poi a osservarli da lontano, la sera.
I falò accesi nei campi la notte di S. Giovanni erano considerati, oltre che propiziatori, anche purificatori. L’usanza di accenderli si riscontra in moltissimi luoghi, in Europa e in alcuni luoghi del Nord Africa.
Nelle campagne i fuochi propiziatori tenevano lontani i demoni e proteggevano le coltivazioni.
I contadini si posizionavano principalmente su dei dossi o in cima a delle colline, e accendevano grandi falò in onore del sole, per propiziarsene la benevolenza e rallentarne idealmente la discesa, oltre a tenere lontani i demoni e proteggere le coltivazioni. Spesso con le fiamme di questi falò venivano incendiate delle ruote di fascine, che venivano fatte precipitare lungo i pendii, accompagnate da grida e canti. I falò avevano però anche una funzione purificatrice e per questo motivo vi si gettavano dentro cose vecchie o marce, affinché il fumo che ne scaturiva tenesse lontani gli spiriti maligni e le streghe. In alcuni luoghi si bruciava, come per l’Epifania, un pupazzo, così da bruciare in effige la malasorte e le avversità.
Un’altra usanza era quella di far passare il bestiame fra il fumo del falò, in modo da togliere le malattie e proteggerlo sia da queste sia da chiunque vi potesse gettare fatture e malie.
I fuochi venivano tenuti accesi tutta la notte. All'alba i falò si spegnevano, toccava al fuoco più importante ergersi in cielo: il sole. La ragazza che, guardando il sole all'alba, vi vedeva la testa decapitata di San Giovanni, si sarebbe sposata entro l'anno. San Giovanni infatti morì decapitato, per ordine di Erode. Giovanni Battista rimproverava a Erode la convivenza con la cognata Erodiade. La donna voleva la morte del predicatore, ma Erode si opponeva. Tuttavia Erode fu costretto a ordinare infine la condanna, per colpa di Salomè, figlia di Erodiade. Salomè infatti un giorno si esibì in una danza che deliziò Erode a tal punto che egli le promise come ricompensa di soddisfare un suo qualsiasi desiderio. La ragazza, istigata dalla madre, chiese la testa di Giovanni Battista su un piatto d'argento. Erode fu costretto ad acconsentire, per non venir meno alla promessa. Collegato a questa storia c'è anche una credenza in Sardegna, dove si riteneva che il sole all'alba saltellasse tre volte prima di innalzarsi, allo stesso modo in cui la testa di San Giovanni rimbalzò tre volte alla sua decapitazione. A Verona si svolgevano balli e banchetti attorno a una fontana di ferro, nella "Valle di San Giovanni" (attuale quartiere chiamato "Veronetta"). Nei pressi, una pieve longobarda, alto-medievale, dedicata a San Giovanni. Pochi chilometri a nord-est, vicino a Montorio, un antico monolite di origini pagane (in seguito "cristianizzato" con l'aggiunta di una croce di ferro), pare sia misteriosamente allineato alla pieve. Il nome stesso di Montorio potrebbe derivare da "mons" e "orior", monte da cui nasce il sole. Anche in altre parti d'Italia, attorno ai fuochi, si danzava e cantava, e si credeva che in questa notte magica avvenissero prodigi. Era di buon augurio saltare sul fuoco pensando intensamente ai desideri che si volevano realizzati.

Sino ad un po’ di tempo fa era d’uso in Veneto allestire dei fuochi negli incroci.
In Spagna, a Pamplona, si usa tutt’ora raccogliere erbe aromatiche da bruciare negli incroci per scongiurare tempeste e fulmini.
Anche i Berberi, che vivono nel Nord dell’Africa, hanno dei festeggiamenti in concomitanza del 24 giugno e per questi accendono dei fuochi che facciano un fumo denso per propiziare il raccolto dei campi e per guarire (col fumo) chi vi passa in mezzo.
In una località della Germania c’è un’usanza a cui partecipa tutta la popolazione dei dintorni: una grossa ruota infuocata viene fatta rotolare fino a valle, dove passa il fiume: se la ruota arriva accesa nell’acqua il segno è favorevole, in caso contrario è invece di cattivo auspicio.
Fino a qualche decennio fa, i fuochi di San Giovanni venivano accesi in tutta la Valle Camonica, soprattutto dai paesi collocati più in alto, in modo che potessero essere ben visibili da lontano. Questi falò continuano la tradizione di antichi riti pagani legati al solstizio d'estate: sono praticati dall'Irlanda alla Russia, dalla Svezia alla Grecia e alla Spagna. Documenti del XVI secolo testimoniano tale consuetudine in quasi tutti i paesi della Germania; i rituali intorno al fuoco erano connessi alla fertilità del raccolto, alla salute, alla buona sorte, a proteggere dai fulmini. In Austria, nel Salzkammergut e nella zona di Bad Goisern vicino ad Hallstatt (culla dei Celti della prima Età del Ferro) si usa ancor oggi accendere grandi falò sui fianchi delle montagne la sera del 23 giugno; celebrazione analoga è lo Highlight, un immane falò solstiziale che viene acceso a Schwarzenbach durante il Keltenfest, la festa dei Celti. Nell’antica Gallia, durante i giorni solstiziali si accendevano i fuochi sui monti dedicandoli al dio Belen.
Per alcuni la festa di S. Giovanni sarebbe la trasformazione di un antico culto solare (un riferimento preciso è reperibile nella festa romana del 24 giugno indicata come “solstitium” o “campas”), che rivela quindi radici profonde nella tradizione rituale precristiana. È di fondamentale importanza non dimenticare il forte legame simbolico che l’antica società agraria aveva con il culto del Sole. Un esempio del culto solare in ambito agricolo è rappresentato dal tradizionale gioco delle “ruzzole” praticato nell’Appennino modenese (ma presente anche in altre aree, con delle piccole varianti). Questa tradizione, che qualcuno vuole celtica e qualcun altro pre-celtica, ha trovato la sua massima espressione nel lancio di grandi ruote di legno accese e non di rado inghirlandate. Ne “Il Ramo d’Oro” di Frazedr si legge: “…si riferisce al ciclo discendente del sole, avente inizio nella data rituale in questione e risponde all’intento di sfondare ritualmente il nuovo anno astronomico dando, in senso magico, il via a un favorevole corso del sole, identificato nella ruota”.
Il lancio delle ruote infuocate è ancora vivo con le “cìdulis” delle Alpi orientali del Friuli; normalmente, prima di lanciare la sua “cìdule”, il lanciatore grida “vòdi cheste cìdule onor di...” (dedico questa ruota di fuoco in onore a...) e accompagna l’esclamazione con il nome del santo festeggiato (il rituale, rifiorito in tempi recenti, si può ripetere anche in occasione dell‘Epifania e di vari santi patroni locali). Queste ruote avvolte di paglia e incendiate, di cui si trova esempio anche in altre aree europee e spesso collegate al falò rituale, sono state interpretate come tentativi di ricostruzione simbolica del ciclo solare.
Alle prime luci del 24 giugno i contadini che possedevano alberi di noce dovevano andare a legare una corda di spighe di orzo e di avena intrecciate ai tronchi dei loro alberi. In questo modo avrebbero poi raccolto frutti buoni e abbondanti.
Raccogliere 24 spighe di grano e conservarle gelosamente tutto l’anno serviva come amuleto contro le sventure. Fare invece un mazzolino con tre spighe di grano marcio o carbone e buttarlo nel fiume liberava dagli animali e dalle piante nocive il grano che si stava per mietere.
Nonostante la demonizzazione secolare dei culti agresti (ancora oggi si mormora che nella notte di S. Giovanni le streghe celebrerebbero i propri rituali), alcuni aspetti tipici di questa festa pagana non si sono spenti e hanno mantenuto una propria vitalità, conservando alcune caratteristiche: oltre ai fuochi, le sfilate, le danze, i giochi, il coinvolgimento collettivo in genere e soprattutto intorno al gran falò finale. Un’altra pratica legata a S. Giovanni è la danza intorno alle grandi pietre megalitiche, considerate cariche di poteri magici.
Da sempre, con il fuoco si mettono in fuga le tenebre e con esse gli spiriti maligni, le streghe e i demoni vaganti nel cielo. Le persone erano solite saltare il fuoco per avere fortuna, intorno ai fuochi si danzava e si cantava, e nella notte magica avvenivano prodigi: le acque trovavano voci e parole cristalline, le fiamme disegnavano nell'aria scura promesse d'amore e di fortuna....
Litha è il momento di ricelebrare la fiammata della vita anche attraverso la danza. La danza è uno dei più antichi modi di celebrare e di fare rituali nel mondo: è un rito sacro che conosce gli arabeschi del tempo. In genere, colui che danza, aduna gli spiriti per ottenere chiaroveggenza e conoscenza, comunica e riceve informazioni, onora gli antichi, cura e guida il viaggio mistico della sua anima nella danza della vita. Vi erano danzatori e attori vestiti da unicorni e draghi.

Ma oltre ai fuochi esistono parecchie tradizioni legate al solstizio tra cui un rito che serve a conoscere il futuro, perché come dice il detto "San Giovanni non vuole inganni". Il detto nasce dal fiorino d'oro coniato a Firenze nel 1252. L'effige del Santo compariva su una delle facce della moneta. Su questa valuta si basava la ricchezza e la reputazione della Repubblica fiorentina; San Giovanni, raffigurato sulla moneta, si faceva garante della qualità della lega metallica che la componeva. Essa doveva sempre contenere 3,54 grammi d'oro. Nasceva così il detto "San Giovanni non vuole inganni".
A Firenze, sui tetti delle basiliche, venivano messi dei grandi pentoloni di terracotta pieni di grasso. Il grasso produceva dei fuochi visibili anche a grandi distanze.
Secondo la leggenda il 24 è il giorno in cui le streghe si recano in volo verso il grande albero di noce di Benevento per il sabba. Questo è l'albero sul quale una divinità lunare avrebbe sconfitto il demonio, rimandandolo all'Inferno. Da qui nascono numerosi riti propiziatori per evitare che, durante il loro lungo viaggio, le streghe sostino presso le case dei comuni mortali. Uno dei più efficaci consiste nel proteggersi col rosmarino, pianta che si credeva allontanasse le forze negative, e un ramoscello d'ulivo benedetto. Sulla soglia di casa si mette poi del sale e una scopa di saggina. In questo modo le streghe che eventualmente passano sono costrette a contare i granelli di sale e i fili della scopa. Così sono impegnate finché non scatta la mezzanotte, e a quel punto devono fuggire. Si narra che il culto del noce come "albero delle streghe" sia di origine celtica.
Vi era anche la leggenda dei serpenti che si riunivano e si trasformavano in una grande palla sibilante e contorcente. Chiunque riuscisse a prenderla avrebbe avuto poteri magici.
La porta di casa era decorata con foglie di betulla, finocchietto selvatico, iperico e lillà bianche.
A Roma, la notte di San Giovanni c'era un'usanza che si tenne fino alla fine dell'Ottocento. Dopo l'Ave Maria (cioè mezz'ora dopo il tramonto) veniva sparato un colpo di cannone e si dava inizio alla festa. Qualcuno si metteva ad attendere il passaggio delle streghe, col mento appoggiato a un bastone e lo sguardo rivolto alla croce, scrutando il cielo. Ovviamente, complice magari qualche bicchiere di troppo, le streghe venivano avvistate, e a volte si vedevano i fantasmi delle più famigerate donne capitoline, come la papessa Giovanna, Lucrezia Borgia o donna Olimpia, patrona dei corrotti.
Le donne della Repubblica di Venezia si rivolgevano alla luna per chiederle il nome del futuro marito. Il primo nome udito pronunciare da qualcuno, in qualsiasi circostanza, sarebbe stato quello dello sposo.
Tornando ai riti per predire il futuro, essi si collegano all'era precristiana, quando il solstizio era considerato un giorno sacro come il capodanno. In questi giorni era consuetudine trarre presagi.
Altra usanza a metà tra il magico e il culinario è quella di raccogliere le noci ancora immature per preparare "l’incantesimo delle Noci", ovvero il "nocino"; tipico della festa di San Giovanni, è un liquore corposo buono e che fornisce energia. La ricetta magica del nocino impone che se ne raccolgano 24, come il 24 giugno, e che siano raccolte da mani esclusivamente femminili. Quindi si mettono nell'alcool per qualche settimana (più si aspetta e più buono viene) insieme a qualche spezia, come la cannella e i chiodi di garofano. L'uso della scorza della noce nelle ricette medicinali e per i liquori risale a tempi antichi. In Britannia si preparavano pozioni magiche utilizzando noci acerbe. Questa usanza sarebbe poi stata "importata" dalla Francia in Italia. Abbiamo detto che la notte di San Giovanni le streghe si davano appuntamento e si riunivano intorno a un albero di noce. I contadini piantavano il noce a distanza dagli altri alberi, perché credevano che questo albero ermafrodita (dato che il seme contiene in sé i due sessi) fosse velenoso e che contagiasse anche il terreno con le sue radici. Da qui l'usanza di piantarlo a distanza dagli altri alberi dell'orto e forse da qui avviene il suo collegamento con le streghe.
In Portogallo si andava nei boschi a prendere a male parole le volpi là nascoste, affinché non tornassero più a rubare le galline.
In Spagna questa notte è chiamata la "Notte della Verbena ". Le giovani donne raccoglievano l'erba di san giovani nella speranza di divinare e scoprire il futuro amore.
In Bretagna, per esempio, c'era la stravagante usanza di far dondolare i bambini per nove volte davanti al fuoco, cosicché crescessero robusti. Davanti alle fiamme, inoltre, si disponevano delle pietre per fare in modo che gli avi defunti si riscaldassero.
Tra i Lapponi si festeggiava Baiwe, madre del sole, intrecciando ghirlande di fiori o d'erba e si spalmava del burro sugli stipiti delle porte come segno della sua generosita'.

Si dice anche che la rugiada della mattina di S. Giovanni, ovviamente legata all’elemento acqua, ha il potere di curare, purificare e fecondare.
Nel Nord Europa, se una donna desiderava molti figli o voleva bei capelli e una buona salute, doveva rotolarsi o stendersi nuda, nell’erba bagnata. In Italia c’era più l’abitudine di raccogliere la rugiada e poi usarla sul momento.
C’erano e ci sono vari sistemi per raccogliere la rugiada: scavando una piccola buca vi si inserisce un contenitore e sopra questo un telo impermeabile con un foro, in modo che la rugiada depositata sul telo poi può scendere nel contenitore oppure la notte si stende un panno sull’erba e la mattina lo si strizza, oppure si passeggia per i campi la mattina prestissimo trascinandoci dietro un lenzuolo o un batuffolo di cotone, che s’impregnerà di rugiada e poi lo si può strizzare per recuperare l’acqua.
Altri usi legati all’acqua erano: attingere la prima acqua del 24 giugno manteneva la vista buona; recarsi in riva al mare, per bagnarsi, all’alba, preservava dai dolori reumatici. Una leggenda inoltre tramanda che vicino al famoso Noce di Benevento, ci fosse un laghetto o un torrente in cui le donne si bagnavano in questa notte per aumentare la propria fertilità.
Usanza tipica di questo giorno è inoltre mangiare le lumache. Il significato del mangiare tale cibo è legato perlopiù alle corna delle lumache (che simboleggiano la luna e il suo ciclo di crescita/decrescita), per cui, ogni lumaca mangiata (e quindi ogni cornetto mangiato), si ritiene che un malanno sia scongiurato (e scongiurato anche un altro rischio: quello delle “corna” in casa)

In questa notte si bruciano le vecchie “erbe di S. Giovanni” nei falò e si vanno a raccoglierne di nuove: iperico, aglio, artemisia, verbena e ruta.
Le piante bagnate dalla rugiada della notte di San Giovanni vengono influenzate con particolare forza e potere e possiedono straordinarie capacità: si ritenevano in grado di scacciare ogni malattia e tutte le loro caratteristiche e proprietà sono esaltate alla massima potenza.
Si diceva, per esempio, che poste sotto la camicia o il cuscino facessero avere sogni premonitori. A mezzanotte poi si doveva cogliere un ramo di felce e tenerlo in casa per favorire i guadagni, o di verbena se si voleva avere un’infallibile protezione contro i fulmini.
La ruta, considerata già da Aristotele come protezione dagli spiriti e dagli incantesimi, era un efficace talismano contro il maligno, ed era detta "erba allegra." L'aglio, oltre che assicurare un anno prospero, era efficace come protezione dal male e dai malanni. Anche Plinio lo cita come utile nel guarire molte malattie. Il nome sanscrito dell'aglio vuol dire "uccisore di mostri". Non per niente lo ritroviamo fondamentale anche nelle leggende sui vampiri.
Era d'uso portare all'occhiello una foglia di iperico, per proteggersi dalle streghe. L'iperico era considerato infatti una pianta scaccia diavoli e anti malocchio. In particolare i suoi petali rossi erano ritenuti tali in quanto impregnati del sangue di San Giovanni. Una leggenda vuole che se si inciampa sulla sua radice nella notte di Litha, si viene magicamente trasportati nel regno delle fate.
Nel periodo in cui si svolgeva la festa anche le questioni d'amore potevano venir risolte, grazie alle erbe. C'erano piante per attirare la persona di cui si era innamorati, o per conoscere la verità sui suoi sentimenti. Altre piante erano in grado di svelare l'iniziale del futuro marito. Era usanza per le ragazze gettare a terra un garofano; chi lo avesse calpestato all'alba avrebbe determinato la famiglia di appartenenza del futuro sposo.
C'erano poi erbe davvero miracolose, in grado di donare chiaroveggenza e addirittura invisibilità. In questo caso bisognava però superare una prova: chi avesse colto la pianta si sarebbe sentito chiamare con la voce di un proprio caro. Solo chi avesse resistito e non si fosse girato avrebbe acquisito l'invisibilità. La voce infatti era solo un trucco del Diavolo per non cedere il potere della pianta.
L’artemisia, in particolare l'assenzio, consacrata ad Artemide, è forse la pianta più celebre tra quelle dette "di San Giovanni". Un suo rametto scaccia i diavoli, neutralizza il malocchio e, più banalmente, fornisce energia ai viandanti. L'assenzio è un'erba magica intrisa del potere spirituale di San Giovanni e del potere del sole, del fuoco "positivo". Essa quindi è una protezione contro i fuochi "negativi" ed era usanza mettere un mazzo di questa erba dietro l'uscio di casa, per proteggere l'abitazione dai fulmini. Altra capacità dell'assenzio era quella di vincere la decadenza e la precarietà. Una volta si metteva del succo di assenzio nell'inchiostro, e la carta scritta con quell'inchiostro diveniva sana e durava molto tempo, perché fortificata contro le tarme.
La salvia è invece legata a un'antica leggenda sul viaggio che compì Maria mentre era in fuga con la Sacra Famiglia. Sentendo i soldati che stavano per raggiungerli, chiese a una rosa di proteggere il bambino Gesù, ma la rosa rifiutò, per paura che i soldati calpestassero i suoi petali. La pianta fu per questo punita e condannata ad avere fiori belli, ma dalla durata effimera, e uno stelo spinoso. Maria continuò a chiedere aiuto ad altre piante. Prima la vite disse di no e per questo fu condannata a essere tagliata e privata dei frutti ogni anno, con la vendemmia. Anche il cardo rifiutò e divenne una pianta piena di spine. Quando la situazione si fece critica venne in aiuto la salvia, che accettò subito di proteggere il bambino, riuscendo anche ad addormentarlo grazie al suo profumo. La pianta fu benedetta e divenne diffusa in tutti gli orti; una pianta benefica per guarire e buona per cucinare. La salvia che veniva raccolta nella notte di San Giovanni, in particolare, era un vero rimedio universale, da cui dipendeva il benessere di tutta la famiglia.
E per finire la verbena, simbolo di pace e prosperità. In Bretagna è conosciuta come “erba della croce”, perché si ritiene che protegga chi la porta con sé da qualsiasi male. È nota anche come "erba della doppia vista" perché il berne un infuso facilita la visione di realtà altrimenti nascoste.
I greci la chiamavano "Hiera botane", erba sacra. A Roma la verbena veniva raccolta in un luogo sacro del Campidoglio e se ne faceva una corona per i sacerdoti membri dei "fetiales"; costoro erano incaricati di studiare i conflitti tra Roma e gli altri popoli. In latino il nome risale a un'antica radice europea da cui deriva anche il greco "rhabdos", che si collega a verga, bacchetta magica; basti pensare al rabdomante, appunto, che usa la bacchetta per trovare l'acqua. Altra proprietà magica della verbena era il suo utilizzo nei filtri d'amore. La pianta era infatti anticamente consacrata a Venere, che veniva ritratta incoronata di verbena e mirto. I bardi celtici se ne cingevano il capo per avere un'ispirazione dagli dei. Era insomma una pianta dalle molte proprietà; anche nel Medioevo si usava, per proteggersi dal contagio delle epidemie.
Trascorrendo la notte nelle piazze e in campagna, presso fonti e fiumi, non solo si cantava e si danzava per tutta la notte, ma si prediceva la sorte e si raccoglievano erbe e foglie che venivano battezzate nelle acque da compari e comari, per essere poi devotamente appese in casa, appese alle pareti, per un intero anno.
Le erbe raccolte nella notte di S. Giovanni erano ritenute speciali, le più adatte per preparare pozioni magiche e medicamentose, potenti filtri, e per preparare incantesimi. Non va considerata un’idea superstiziosa, ma piuttosto la consapevolezza (dovuta anche alla pratica) che solo in alcuni giorni dell’anno era possibile ottenere i massimi principi attivi (effetto balsamico) dai poteri vegetali. Le tradizioni erboristiche antiche rivelano infatti una matura conoscenza della fitoterapia e soprattutto la capacità di creare una simbiosi favorevole con la natura.
Con alcune delle erbe sopra citate era possibile fare “l’acqua di S. Giovanni”: si prendevano fiori di lavanda, iperico, mentuccia, ruta e rosmarino e si mettevano in un bacile colmo d’acqua che si lasciava per tutta la nottata fuori casa. Il mattino successivo le donne prendevano quest’acqua e si lavavano per aumentare la loro bellezza e preservarsi da malattie.
Venivano fatti anche altri tipi di acqua (con altre erbe, variabili a seconda delle regioni) che servivano contro il malocchio, le malattie di adulti e di bambini, ecc.
L’uso di raccogliere le erbe benefiche, la credenza legata alla rugiada di quella notte, l’abitudine di raccogliere le noci per farne un benefico liquore, l’accensione di falò, le danze, le feste, stanno ancora ad indicare che il solstizio estivo è il segno della congiunzione tra la consapevolezza e l’inconscio e che l’unione tra l’Eterno Femminile e L’Eterno Maschile è l’ideale  principe del genere umano, ma anche che tale ideale per concretizzarsi deve essere compreso e perseguito.
La tradizione occulta parla di evoluzione della coscienza cosmica e la rappresenta con una spirale, considerando che la spirale terrestre si avvia  verso una meta sconosciuta, vede in questo movimento la volontà di una mente superiore, della divinità, che porta con sé o verso di sé la terra. Giungeremo quindi ad un’altra dimensione, la velocità e la capacità dipende dal nostro libero arbitrio. Il movimento del sole è poco conosciuto, ma è chiaro che qualsiasi possibilità della terra è determinata nella quarta dimensione, cioè nel tempo al di fuori di noi e appartenente a una dimensione che non  appartiene in questo mondo.

La nostra fata consiglia:
- Scrivete una poesia dedicata al vostro cucciolo domestico.
- Fare un pic nic in riva al mare con l’amore della nostra vita per celebrare ciò che abbiamo di più caro e vogliamo rinasca ancora. Mangiare pane e vino.
- Riempire un calderone d’acqua e fiori
- Fare del pane alle erbette
- Fare delle coroncine di fiori da portare in testa
- Fare un alberello dei desideri
- Raccogliere delle conchiglie in riva al mare e conservarle vicino al proprio letto
- Piantare un nuovo albero (anche in vaso su di un balcone)
- Raccogliere dei frutti di bosco
- Fare un bastone per camminare
- Comprare qualcosa per il giardino (mobili da giardino, nuove piante, ecc.)
- Cucinare coi petali di rosa: marmellate, risotti…
- Inventare una nuova ricetta di cucina a base di verdure fresche di stagione.
- Mangiare albicocche e sotterrare il nocciolo affinché porti un nuovo amore
- Mangiare tanta frutta fresca, magari colta dall'albero
- Restate svegli l'intera notte.
- Prendete un nuovo cucciolo magari randagio.
- Vedetevi con gli amici e danzate tutti assieme, magari attorno ad un fuoco
- Giacare a nascondino con gli amici, in un bel bosco
- Mettere sotto il cuscino del gelsomino per propiziare sogni profetici
- Infilate le dita nella terra.
- Salvate un pesciolino rosso dai negozi di animali e lasciate che diventi il vostro cucciolo
- Fate un cerchio di pietre nel vostro giardino.
- Fate delle collanine di conchiglie e perline e portarle indosso.
- Accendete una candela rossa e saltateci sopra.
- Passare la giornata all’aperto: al mare, in bicicletta, danzando.
- Fate un bagno nel mare a mezzanotte. E scambiatevi un bacio sottacqua. Gli Dei  del Mare proteggeranno il vostro amore a lungo
- I fuochi dei falò vanno accesi la vigilia del giorno 24. è poi ben augurante saltare sul fuoco avendo ben chiare le cose che vorremmo veder cambiare nella nostra vita. Più intenso e puro sarà il desiderio espresso mentalmente al momento del salto e più esso avrà ottime possibilità di realizzarsi.
- Mettere sotto il guanciale le “erbe di S. Giovanni”, legate in un mazzetto, in numero di nove, iperico compreso, per avere sogni premonitori.
- Comprare l’aglio il giorno di S. Giovanni farà avere un anno prospero.  
- Sotto il guanciale vengono messe le "erbe di San Giovanni", legate in mazzetto in numero di nove compreso l'iperico, per avere dei sogni premonitori.                

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