Il Giardino dei libri

domenica 7 febbraio 2016

Origine delle maschere


La parola maschera deriva dall’arabo “mascharà”, che significa scherno, satira.
Originariamente era costituita da una faccia cava dalle sembianze grottesche o mostruose, indossata per nascondere le fattezze umane e, nel corso delle cerimonie religiose, per allontanare gli spiriti maligni.
La tradizione di mascherarsi è antichissima. Essa risale al Paleolitico superiore quando l'uomo tentava, attraverso il travestimento e durante la celebrazione di riti tribali, di contrastare gli spiriti maligni. Gli Sciamani e gli stregoni indossavano copricapo colorati fatti con piume e foglie secche, dipingevano i loro volti con polveri colorate e mettevano delle maschere sul volto. Così agghindati davano il via alla celebrazione sacra.
In Africa e Oceania ancora oggi esistono delle tribù che utilizzano maschere propiziatorie, e alcune tribù della Papua Nuova Guinea costruiscono enormi maschere che non vengono mai indossate. Esse sono destinate a stare appese nelle capanne per tenere lontani gli spiriti maligni. Alcune tribù dei Dogon del Mali ritengono che ogni volta che un uomo muore, il suo spirito vada a vivere in una maschera della famiglia o del villaggio.

Oltre alle maschere rituali alcune tribù utilizzano anche delle maschere da guerra, che hanno il compito di incutere timore all'avversario e per questo motivo esse devono avere un aspetto terribile. Oltre ad indossare una maschera il guerriero si dipinge anche il corpo, per assomigliare il più possibile ad uno spirito cattivo o ad mostro.
Gli “uomini fango” (mud-man) della Papua Nuova Guinea sono un esempio perfetto di questa usanza. Durante gli attacchi contro tribù nemiche indossavano una pesante maschera fatta di fango e si ricoprivano tutto il corpo dello stesso materiale, che asciugandosi dava loro uno spettrale colore grigio chiaro.

Utilizzare travestimenti durante le cerimonie religiose era in uso anche anticamente presso i Greci, ed è da tale costume che gradatamente le rappresentazioni religiose si trasformarono in rappresentazioni teatrali.
Le maschere, agli antichi attori, offrivano diversi vantaggi: innanzi tutto potevano sostenere diverse parti contemporaneamente e gli attori maschi potevano sostenere parti femminili (alle donne non era permesso recitare nei teatri).
Siccome le maschere avevano lineamenti adatti al personaggio che l’attore doveva rappresentare, lo spettatore così era così aiutato a distinguere i vari caratteri dei personaggi e capire meglio la trama di ciò che veniva rappresentato. Inoltre, la maschera era più grande della faccia dell'attore e in questo modo riusciva ad amplificare la sua voce.
In tutta Europa, nel Medioevo, durante il Carnevale, si diffuse l’uso di fare grandi e festosi cortei mascherati che percorrevano le vie delle città. In questo periodo storico la società era rigidamente strutturata in classi sociali e travestirsi permetteva di abbattere le barriere sociali della ricchezza e del rango. In questo periodo dell'anno il ricco, mascherato da povero, poteva permettersi certi comportamenti che non poteva concedersi nella vita quotidiana ed il povero, travestito da ricco poteva accedere a luoghi di solito proibiti e avvicinare persone inaccessibili in altri periodi dell’anno; la donna poteva travestirsi da uomo e viceversa, il servo da padrone… chiunque insomma poteva ambire a diventare ciò che preferiva dando libero sfogo e forma a tutti i suoi desideri repressi e sogni irrealizzati. 

La città in cui più si diffuse questo modo di festeggiare il Carnevale fu Venezia. Maschere e travestimenti venivano utilizzati per festeggiare ogni occasione, come l'elezione del Doge, l'arrivo di un ambasciatore o una vittoria in battaglia.
Le maschere, oltre a rincorrersi per le tortuose calli, potevano esibirsi sui palchi o sfilare in Piazza San Marco, sotto gli sguardi di un pubblico esigente e critico, seduto su poltroncine o panche sistemate per l'occasione.
Assieme a giocolieri, burattinai, mangiatori di fuoco, c'erano maschere di tutti i generi: turchi, arabi, demoni, streghe, animali.

La Bauta, la tipica maschera veneziana, si diffuse nel '700. E' una mantellina o cappuccio di merletto, pizzo o reticolo che copre la testa e le spalle. Sul viso si usa una mascherina di seta, velluto, tela o cartone e in testa un tricorno (cappello a tre punte) nero. Ha inoltre una mantella in seta o panno nero o rosso ornata con galloni e nastri. La Bauta non doveva essere troppo particolare o personalizzata, perchè doveva garantire l'anonimato. 
Ogni travestimento aveva uno scopo ben preciso, che oggi è andato perduto: nascondendosi dietro ad una maschera e celando in questo modo la propria identità, ciascuno aveva la possibilità di comportarsi come meglio credeva e, soprattutto, come non avrebbe mai avuto il coraggio di comportarsi a viso scoperto.
Al Medioevo risale anche un’espressione di uso comune: “ti conosco mascherina”. Il significato che oggi attribuiamo a tale detto è che nonostante le apparenze non ci siamo fatti ingannare.

Verso la fine del XVI secolo, in Italia si diffuse la "Commedia dell'arte", che utilizzava le maschere italiane, cioè personaggi che ricomparivano in ogni commedia con lo stesso nome, lo stesso costume, lo stesso trucco o maschera, lo stesso linguaggio e soprattutto lo stesso carattere. 
Uno dei primi "temi", estremamente elementare e naturale, oggetto di rappresentazione nelle primitive forme della commedia "a soggetto", è la "beffa del servo", una sorta di ingenua e innocua rivincita concessa dalla fantasia popolare all'umile nei confronti del potente. Innumerevoli sono le rappresentazioni, specie sui palcoscenici della decadente Repubblica veneziana, che hanno come tema il contrasto tra il servo zotico (lo "Zanni") e il padrone vecchio e rincitrullito (il "Magnifico").
La fortuna del contrasto, le varie forme in cui si manifesta, fanno sì che il personaggio dello Zanni subisca continue, interessanti e sostanziali modifiche, e che si caratterizzi variamente, rendendosi sempre più simpatico e variegato: questo spiega la presenza, nella tradizione giunta fino a noi, di tante maschere rappresentanti parti di servitori, dal celeberrimo Arlecchino all'intelligente Scapino.
A proposito di Arlecchino, ci sembra doveroso ricordare quell'autentico genio della Commedia dell'Arte che nobilitò le scene nella seconda metà del XVI secolo e, partito con l'interpretazione dello stereotipo personaggio del servo Zan Ganassa, nel 1572, in terra di Francia, per la prima volta attribuì alla maschera il nome di Zanni Arlecchino.
Le continue e salutari mutazioni a cui fu soggetto il personaggio dello Zanni portarono inevitabilmente alla distinzione fra servo furbo e servo sciocco, chiamati "primo" e "secondo" Zanni.
Arlecchino, Burattino, Flautino e il famosissimo Pulcinella facevano parte del secondo gruppo; Brighella, Beltrame, Coviello, Zaccagnino, Truffaldino, Pezzettino, Stoppino del primo.
Un posto di primo piano è riservato alle maschere dei "vecchi”, che generalmente erano due, ma non portavano sempre e dovunque lo stesso nome; perlopiù furono conosciuti l'uno sotto il nome di Pantalone e l'altro di Dottore, Dottor Graziano o Dottor Balanzone.
Altra maschera fondamentale era quella del Capitano, soldataccio spaccone, vanaglorioso, violento e pavido, altrimenti noto come Capitan Spaventa, Capitan Rodomonte, Capitan Matamoros , Capitan Spezzaferro, Capitan Terremoto, Capitan Spaccamonte, e via di questo passo. In questa maschera si è voluto vedere una caricatura feroce del soldato spagnolo che, nel periodo di tempo in cui fiorì la Commedia dell'Arte, spadroneggiò in quasi tutta la penisola.
Accanto alle maschere che rappresentavano i personaggi principali e indispensabili in ogni commedia, si aggiravano altre maschere, spesso doppioni, derivazioni delle prime con mutazioni o correzioni non molto indovinate: a volte non era mutato che il nome, altre il dialetto che la maschera parlava. I Pandolfi, gli Ubaldi, i Cola, i Burattini e i Pezzettini ebbero giorni di relativa gloria nel XVII secolo, dopo di che scomparvero.
E, dal momento che ci siamo lasciati andare in una carrellata, fugace ma abbastanza organica, dei personaggi della Commedia dell'Arte, ci sembra giusto concludere ricordando quelle astute servette, altrimenti chiamate "fantesche", preposte alla salvaguardia dell'onore di spesso scialbe padroncine.
Tutti questi straordinari personaggi sono riusciti a sopravvivere alla morte del teatro al quale pur debbono la vita, perché riconosciuti degni di rappresentare ciò che di più caro le città italiane avevano nel cuore, le tradizioni domestiche, la parlata popolaresca, lo spirito delle antiche cose.
E ancora oggi continuano a rallegrare i nostri Carnevali.
Il declino del teatro delle maschere iniziò nel XVIII secolo, quando autori come Carlo Goldoni abolirono le loro avventure grottesche e ridimensionarono il loro ruolo, riducendole a figure di contorno.
Scomparse col tempo dalle scene dei teatri, le maschere sono sopravvissute soltanto nelle feste e nelle mascherate di Carnevale.

Nessun commento:

Posta un commento

Qui puoi scrivere un tuo commento