Il Giardino dei libri

giovedì 24 dicembre 2015

I simboli del Natale

Le feste natalizie sono costellate di cerimonie ed usanze di cui non tutti conoscono il significato profondo, l'origine e l'evoluzione. Alcune di esse derivano da tradizioni pagane cristianizzate. Questa commistione di usanze di ispirazione evangelica con altre precristiane è dovuta alla collocazione calendariale del Natale che, diversamente dalla Pasqua, è errata storicamente. Nel vangelo di Luca si narra soltanto che nel periodo in cui nacque Gesù c'erano a Betlemme dei pastori che vegliavano di notte facendo la guardia al gregge. Siccome sappiamo che i pastori ebrei partivano per i pascoli all'inizio della primavera, in occasione della loro Pasqua, e tornavano in autunno, è il Cristo nacque tra la fine di marzo e il primo autunno; tant'è vero che fino alla fine del III secolo il Natale veniva festeggiato, secondo i luoghi, in date differenti: il 28 marzo, il 18 aprile o il 29 maggio.
Nella seconda metà del secolo III si affermò nella Roma pagana il culto del sole, di cui l'astro non era se non una manifestazione sensibile. In suo onore l'imperatore Aureliano aveva istituito una festa al 25 dicembre, il Natalis Solis Invicti, il Natale del Sole Invitto, durante il quale si celebrava il nuovo sole "rinato" dopo il solstizio invernale. Molti cristiani erano attirati da quelle cerimonie spettacolari; sicché la Chiesa romana, preoccupata per la nuova religione che poteva ostacolare la diffusione del cristianesimo più delle persecuzioni, pensò bene di celebrare nello stesso giorno il Natale di Cristo. La festa, già documentata a Roma nei primi decenni del IV secolo, si estese a poco a poco al resto della cristianità.
La coincidenza con il solstizio d'inverno fece sì che molte usanze solstiziali, non incompatibili con il cristianesimo, venissero recepite nella tradizione popolare. D'altronde non si trattava di una sovrapposizione infondata, perché fin dall'Antico Testamento Gesù era preannunciato dai profeti come Luce e Sole. Malachia lo chiamava addirittura "Sole di giustizia".

Per questi motivi già nei primi secoli l'accostamento del sole al Cristo era abituale, come testimonia Tertulliano: "Altri ritengono che il Dio cristiano sia il sole perché è un fatto notorio che noi preghiamo orientati verso il sole che sorge e nel giorno del sole ci diamo alla gioia, a dire il vero per un motivo del tutto diverso dall'adorazione del sole".
Collegata a questo simbolismo di luce è l'usanza di adornare l'uscio di casa con piantine come il pungitopo o l'agrifoglio dalle bacche rosse, mentre quella del vischio è una tradizione celtica cristianizzata. La si considerava una pianta donata dagli dei poiché non aveva radici e cresceva come parassita sul ramo di un'altra. Si favoleggiava che spuntasse là dov'era caduta una folgore: simbolo di una discesa della divinità, e dunque di immortalità e di rigenerazione. La natura celeste del vischio, la sua nascita dal Cielo e il legame con i solstizi non potevano non ispirare successivamente ai cristiani il simbolo di Cristo: come la pianticella è ospite di un albero, così il Cristo, si dice, è ospite dell'umanità, un albero che non fu generato nello stesso modo con cui si generano gli uomini. Alla luce delle antiche feste solstiziali si seguivano alcune usanze, come ad esempio quella di accendere fuochi e falò che hanno, si dice, la funzione simbolica di "bruciare" le disgrazie e i peccati dell'anno morente, di purificare, ma anche di ricevere dal sole, composto di fuoco, nuova energia, fertilità e fecondità: sole che altro non è se non il simbolo di Cristo, come si è già detto.
Ma torniamo alla notte di Natale quando, una volta e ancora adesso in qualche famiglia toscana o emiliana, si accendeva dopo la cena di magro un ceppo che rappresenta simbolicamente l'Albero della Vita, il Cristo, dicendo: "Si rallegri il ceppo, domani è il giorno del pane; ogni grazia di Dio entri in questa casa, le donne facciano figlioli, le capre capretti, le pecore agnelletti, abbondino il grano e la farina e si riempia la conca di vino" - "Il giorno del pane", lo chiamavano: per questo motivo si mangiavano, come oggi d'altronde, dolci a base di farina che hanno nomi diversi secondo le regioni: pangiallo, pane certosino, pandolce, panforte, panpepato e panettone.
Quanto al ceppo, non è il solo simbolo arboreo natalizio: lo è anche l'abete che fin dall'epoca arcaica tu considerato un albero cosmico che si erge al centro dell'universo e lo nutre. Fu facile ai cristiani del nord assumerlo come simbolo del Cristo. Nei paesi latini l'usanza si diffuse molto tardi, a partire dal 1840, quando la principessa Elena di Maclenburg, che aveva sposato il duca di Orléans, figlio di Luigi Filippo, lo introdusse alle Tuileries suscitando la sorpresa generale della corte. Persino i suoi addobbi sono stati interpretati cristianamente: i lumini simboleggiano la Luce che Gesù dispensa all'umanità, i frutti dorati insieme con i regalini e i dolciumi appesi ai suoi rami o raccolti ai suoi piedi sono rispettivamente il simbolo della Vita spirituale e dell'Amore che Egli ci offre.
Anche l'usanza della tombola nel pomeriggio del Natale ha una derivazione pagana: durante i Saturnali, che precedevano il solstizio e sui quali regnava Saturno, il mitico dio dell'Età dell'Oro, si permetteva eccezionalmente il gioco d'azzardo, proibito nel resto dell'anno: esso era in stretta connessione con la funzione rinnovatrice di Saturno il quale distribuiva le sorti agli uomini per il nuovo anno; sicché la fortuna del giocatore non era dovuta al caso, ma al volere della divinità.
Dalla Roma antica di Romolo ci viene l’usanza delle “strenae” (le nostre strenne). Il primo re di Roma aveva fatto costruire le mura attorno alla città da lui fondata. In segno di gioia e di prosperità i suoi amici gli offrirono un gran fascio di rami verdi di una pianta propizia, tagliati da un boschetto sulla Via Sacra consacrato a Strenia, dea della potenza e della fortuna di origine sabina.
Commosso per l'omaggio, Romolo volle che il gesto augurale venisse rinnovato per ogni anniversario del giorno della fondazione della città.
Con il tempo tale usanza perse la sua ufficialità e si diffuse fra i cittadini, che cominciarono ad offrirsi l’un l’altro ramoscelli sacri di alloro e ulivo con mele e fichi con l’augurio che l’anno in arrivo potesse essere dolce come quei frutti. Questi doni venivano scambiati soprattutto alle calende di gennaio, ovvero nel primo giorno di tale mese.
In seguito i rami verdi e la frutta vennero sostituiti con doni diversi e il nome strenia venne alterato in quello di strenna e scambiati per Natale.
É invece soltanto cristiana l'usanza del Presepe. Il primo, vivente, con il bue e l'asino nella mangiatoia, risale al 1223 a Greccio, un paese vicino a Rieti: lo ideò san Francesco d'Assisi ispirandosi a una tradizione liturgica sorta nel secolo IX, quando in molti Paesi europei si formarono dall'ufficio quotidiano delle ore i cosiddetti uffici drammatici a rievocare le principali scene evangeliche con brevi dialoghi. Successivamente quei primi esperimenti si ampliarono in strutture più vaste e complesse, sicché il tema della Natività ispirò nel monastero di Benedikburen un vero e proprio dramma al cui centro campeggiava quella del presepe.
Ispirandosi a quelle sacre rappresentazioni Francesco volle rievocare la scena della Natività con un bue e un asino in carne ed ossa. "L'uomo di Dio" scrisse San Bonaventura da Bagnoregio "stava davanti alla mangiatoia, ricolmo di pietà, cosparso di lacrime, traboccante di gioia".
La mangiatoia era vuota ma il cavaliere Giovanni di Greccio, molto legato a Francesco, affermò di avere veduto un bellissimo fanciullino addormentato che il beato Francesco, stringendolo con entrambe le braccia, sembrava destare dal sonno.
Ancora oggi a Greccio si celebra il presepe vivente da cui sono derivati quelli inanimati.
Alfredo Cattabiani

Vediamo adesso in specifico alcuni dei simboli menzionati


L’Agrifoglio

Pianta con rotonde bacche rosse e foglie munite di aculei, l’agrifoglio è un simbolo delle feste di questo periodo.
Fin dai tempi più remoti simboleggia protezione e difesa dalle influenze nefaste: le popolazioni celtiche consideravano le case, le cui porte fossero costruite con il suo legno, protette dalle forze ostili e dalle negatività. Ancora oggi in Europa c’è l’usanza di appendere rametti di agrifoglio alla trave della porta d'ingresso per tenere fuori gli spiriti maligni. Secondo le leggende irlandesi, questa pianta è in grado di produrre incantesimi notevoli. Il suo potere contro le forze ostili è così grande che i Celti lo portavano con sé perfino in battaglia e molti carri da guerra erano costruiti con il suo legno. I Druidi credevano che l'agrifoglio proteggesse dai disagi dell'inverno e che un grosso ramo di questa pianta, scagliato contro una belva in procinto di assalire l'uomo, avesse il potere di ammansirla, così come aveva il potere di rendere docile un cane rabbioso. Rappresenta il Vecchio Dio del Cielo, chiamato anche Re Agrifoglio.
Gli antichi romani lo regalavano agli sposi novelli in segno di augurio.
Quando Colombo scoprì l'America, trovò che gli indiani tenevano in gran conto le piante di agrifoglio: lo usavano come simbolo del coraggio durante le battaglie e ne piantavano arbusti davanti alle capanne per tenere lontano gli spiriti maligni. Inoltre bevevano decotti di foglie e di bacche per acquistare forza e alcune tribù ne adopravano il legno bianco e duro per foggiare le impugnature delle loro armi.
Il matè, la più diffusa bevanda dell'America meridionale, é preparata con foglie di agrifoglio; ha proprietà stimolanti perché contiene caffeina in quantità superiore a quella del caffè.
Le bacche rosse di questo arbusto sono uno dei cibi preferiti dal pettirosso, l'uccellino che la leggenda dice cercò di alleviare le sofferenze di Gesù sulla croce, beccando le spine della dolorosa corona, tanto da avere il petto arrossato dal sangue divino.

Il Sacro vischio

Si usa raccoglierlo per le feste natalizie ed è di buon augurio.
E’ una pianta sempreverde che cresce sui sui tronchi dei meli, delle querce e dei pioppi; ha foglie carnose, verdi e lanceolate, e rotonde bacche bianche perlacee che si sviluppano in nove mesi proprio come il feto umano, maturano proprio in dicembre, e si raggruppano in numero di tre, numero da sempre sacro in tantissime culture.
Il vischio non ha radici a contatto con la terra e cresce su un’altra pianta, pertanto non deve mai toccare terra nemmeno dopo essere stato raccolto. 
A esso sono attribuite molte proprietà curative e in antichità era conosciuto come la pianta in grado di guarire da qualunque malattia. I druidi lo usavano per ottenere infusi e pozioni medicamentose. La ricetta magica della tradizione popolare vuole che il vischio venga immerso nell’acqua, che si dinamizza con le sue magiche proprietà e poi si distribuisce a quanti desiderano guarire o preservarsi dalle malattie.
L’usanza di appenderlo sull’uscio o in casa risale ai Celti, che lo onoravano come pianta sacra giunta dal cielo, dono degli déi. Secondo le fonti, soltanto i Druidi potevano raccoglierlo, recidendolo dall’albero su cui nasceva con una solenne cerimonia, usando un falcetto d'oro. Infatti il vischio e' una tipica pianta lunare e dunque , recidendola con un metallo legato alla divinità solare come l'oro si riunivano le opposte energie. Lo stesso falcetto, la cui forma è proprio quella della Luna crescente altro non sarebbe che un simbolo di riunione delle energie del cosmo e dei due principi, quello femminile e lunare con quello maschile e solare.
La raccolta del vischio avveniva in due momenti particolari dell'anno, a Samhain, il primo Novembre, vero e proprio Capodanno celtico e durante il Midsummer's Eve, la famosa festa di San Giovanni. Queste tradizioni legate alla pianta le ritroviamo anche nella cultura romana ove il suo nome significa "che guarisce tutto".
Nell' Eneide Virgilio paragona il ramo d'oro al vischio consacrando così la pianta a Proserpina. Quando infatti Enea chiede alla Sibilla il permesso di Apollo per scendere nell'Averno a trovare il padre Anchise, si sente rispondere che è indispensabile, per affrontare tale viaggio, avere con sé il Ramo d'Oro, che dovrà essere dato in dono a Proserpina.
"Come ne' boschi al brumal tempo suole di vischio un cesto in altrui scorza nato spiegar le verdi fronde e gialli i pomi,e con le sue radici ai non suoi rami abbarbicarsi intorno; così 'l bronco era de l'oro avviticchiato a l'elce, ond'era surto; e così lievi al vento crepitando movea l'aurate foglie."
Tra le varie tradizioni di prosperità legate al vischio, c'è quella che vuole il baciarsi sotto la pianta perché di buon auspicio, tradizione che ancora oggi si effettua in molte case, e sopravvissuta alla religione cristiana , deriva da antiche conoscenze druidiche che vorrebbero il vischio una pianta apportatrice di fecondità dato che le sue bacche, schiacciate davano un liquido molto simile al "seme" maschile.

L’Albero di Natale

L'immagine dell'albero, soprattutto sempreverde come simbolo del rinnovarsi della vita è un tradizionale tema pagano, presente sia nel mondo antico che medioevale e, probabilmente, in seguito assimilato dal Cristianesimo. La derivazione dell'uso moderno da queste tradizioni, tuttavia, non è stato provato con certezza. Sicuramente esso risale almeno alla Germania del XVI secolo. Ingeborg Weber-Keller (professore di etnologia a Marburgo) ha identificato, fra i primi riferimenti storici alla tradizione, una cronaca di Brema del 1570, secondo cui un albero veniva decorato con mele, noci, datteri e fiori di carta. La città di Riga è fra quelle che si proclamano sedi del primo albero di Natale della storia e vi si trova una targa scritta in otto lingue, secondo cui il "primo albero di capodanno" fu addobbato nella città nel 1510.
Precedentemente a questa prima apparizione "ufficiale" dell'albero di natale si può però trovare anche un gioco religioso medioevale celebrato proprio in Germania il 24 dicembre, il "gioco di Adamo ed Eva",in cui venivano riempite le piazze e le chiese di alberi di frutta e simboli dell'abbondanza per ricreare l'immagine del Paradiso. Successivamente gli alberi da frutto vennero sostituiti da abeti poiché quest'ultimi avevano una profonda valenza "magica" per il popolo. Avevano specialmente il dono di essere sempreverdi. In Germania, inoltre, l’abete era anche il posto in cui venivano posati i bambini portati dalla cicogna.
L'usanza, originariamente intesa come legata alla vita pubblica, entrò nelle case nel XVII secolo e agli inizi del XVIII secolo era già pratica comune in tutte le città della Renania.
L'uso di candele per addobbare i rami dell'albero è attestato già nel XVIII secolo.
Per molto tempo, la tradizione dell'albero di Natale rimase tipica delle regioni a nord del Reno perché i cattolici la consideravano un uso protestante. Furono gli ufficiali prussiani, dopo il Congresso di Vienna, a contribuire alla sua diffusione negli anni successivi. A Vienna l'albero di Natale apparve nel 1816, per volere della principessa Henrietta von Nassau-Weilburg, ed in Francia nel 1840, introdotto dalla duchessa di Orleans.
A tutt'oggi, la tradizione dell'albero di Natale, così come molte altre tradizioni natalizie correlate, è sentita in modo particolare nell'Europa di lingua tedesca.
Nei primi anni del Novecento gli alberi di Natale hanno conosciuto un momento di grande diffusione, diventando gradualmente quasi immancabili nelle case dei cittadini sia europei che nordamericani, e venendo a rappresentare il simbolo del Natale probabilmente più comune a livello planetario.
(per ulteriori notizie cliccare qui e per delle leggende che lo riguardano cliccare qui)

Il Ceppo di Natale

A seconda delle regioni il ceppo è preso da un albero piuttosto che da un altro: da un pino sradicato dal temporale o da una quercia che non è mai stata potata o da un albero da frutto in pieno rigoglio. Affinché possa bruciare bene deve essere preparato in tempo ed essere oggetto di molte cure. In alcuni paesi vi si fanno dei fori e il bambino più piccolo della famiglia vi pone dentro l’incenso; in altri è il nonno della famiglia che lo asperge di acqua benedetta; in altri sono i giovani che lo spennellano di latte o miele.
Circa il ceppo esistono molte tradizioni. Per esempio nelle campagne toscane si usava bruciare un robusto querciolo. Il ceppo bruciava tutto il giorno e continuava a bruciare la notte, mentre la famiglia era alla messa di Natale. La mattina, il capo di casa raccoglieva in un cesto i tizzoni e la cenere rimasti e metteva tutto da parte. Quella cenere, mescolata al seme del grano, veniva sparsa sui campi al tempo della semina per rendere più fertile il terreno.

Il Panettone

Il panettone apparve per la prima volta nel Natale 1495 sulla tavola di Ludovico il Moro al castello degli Sforza, in occasione di un per celebrare il nuovo potere conferito al duca da un decreto dell'imperatore Massimiliano.
Alla fine del banchetto venne portato in tavola il panis quidam acinis uvae confectus, il pane confezionato con acini di uva. Questo nuovo dolce ideato dal cuoco Antonio Toni piacque molto al duca, che, nella sua magnanimità, volle che tutti i milanesi potessero assaggiarlo. Fece così dare la ricetta a tutti i cuochi di Milano il “pan de Toni” poi venne in seguito chiamato “panettone”.
Perché mai il pan dolce? L'usanza di consumare questo alimento nei periodi solstiziali potrebbe risalire agli antichi Romani, perché Plinio il Vecchio riferisce che alla festa del Natalis Solis Invicti si confezionavano le sacre e antiche frittelle natalizie di farinata.
Con l'avvento del cristianesimo si modificò l'interpretazione riferendosi alle parole di Gesù: "lo sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete; io sono il pane della vita". Il Pane della Vita s'incarnò proprio a Betlemme, che nell'ebraico Bet Lehem significava Casa del Pane, nome dovuto probabilmente al fatto che proprio in quella cittadina era un immenso granaio, essendo circondata da campi di frumento.


I Biglietti d'Auguri

I tradizionali biglietti illustrati che ogni anno vengono inviati agli amici, ai parenti, ai conoscenti sul lavoro, etc. per augurare Buon Natale e Felice Anno Nuovo, sono una tradizione occidentale recente. I primi bigliettini furono stampati e messi in vendita in Inghilterra, nel 1843, molto probabilmente da Henry Cole, un antiquario londinese, in quanto si trova scritto sul suo diario che nel novembre 1843 un certo Mr. Horsley gli aveva consegnato un disegno che lui gli aveva commissionato per i fare i biglietti natalizi. Mr. Cole si riferiva ad un disegno raffigurane una famiglia seduta ad una tavola imbandita e sotto la scena si potevano leggere le frasi: “Vestite chi non ha abiti” e “Date da mangiare a chi ha fame”. Cole fece stampare mille biglietti e li mise in vendita. Questa sua iniziativa ebbe molto successo ma prima che l’idea si diffondesse un po’ ovunque passarono circa 10 anni.

I primi disegni dei biglietti natalizi raffiguravano scene familiari, bambini intenti nei loro giochi sotto l’albero natalizio, paesaggi innevati, pettirossi.

Nel 1800, in Inghilterra, il portalettere si distingueva per la sua divisa rossa e da quando cominciò a consegnare biglietti natalizi gli inglesi presero l'abitudine di chiamarlo " Postino pettirosso", per via del colore della divisa, ma anche perché il portalettere si fermava per qualche minuto sulla soglia delle case, come fa il pettirosso quando saltella sul davanzale di una finestra o in giardino.



Il Presepe

Il presepe (o presepio) è una rappresentazione scenica della Natività di Gesù Bambino.
Il termine presepe deriva dal latino praesaepe, cioè greppia, mangiatoia, composto da prae = innanzi e saepes = recinto, ovvero luogo che ha davanti un recinto. Nel significato comune il presepe indica la scena della nascita di Cristo, derivata dalle sacre rappresentazioni medievali.

Il presepe antico

Per comprendere il significato originario del presepe, occorre chiarire la figura del lari (lares familiares), profondamente radicata nella cultura etrusca e latina.
I larii erano gli antenati defunti che, secondo le tradizioni romane, vegliavano sul buon andamento della famiglia. Ogni antenato veniva rappresentato con una statuetta, di terracotta o di cera, chiamata sigillum (da signum = segno, effigie, immagine).
Le statuette venivano collocate in apposite nicchie e, in particolari occasioni, onorate con l'accensione di una fiammella.
In prossimità del Natale si svolgeva la festa detta Sigillaria (20 dicembre), durante la quale i parenti si scambiavano in dono i sigilla dei familiari defunti durante l'anno.
In attesa del Natale, il compito dei bimbi delle famiglie riunite nella casa patriarcale, era di lucidare le statuette e disporle, secondo la loro fantasia, in un piccolo recinto nel quale si rappresentava un ambiente bucolico in miniatura.
Nella vigilia del Natale, dinnanzi al recinto del presepe, la famiglia si riuniva per invocare la protezione degli avi e lasciare ciotole con cibo e vino.
Il mattino seguente, al posto delle ciotole, i bambini trovavano giocattoli e dolci, "portati" dai loro trapassati nonni e bisnonni.
Dopo l'assunzione del potere nell'impero (IV secolo), in pochi secoli i cristiani tramutarono le feste tradizionali in feste cristiane, mantenendone i riti e le date, ma mutando i nomi ed i significati religiosi.
Essendo una tradizione molto antica e particolarmente sentita (perché rivolta al ricordo dei familiari defunti), il presepe sopravvisse nella cultura rurale con il significato originario almeno fino al XV secolo e, in alcune regioni italiane, ben oltre.

Il Presepe moderno

La tradizione, tutta italiana, del Presepe risale all'epoca di San Francesco d'Assisi che nel 1223 realizzò a Greccio, la prima rappresentazione vivente della Natività. Sebbene esistessero anche precedentemente immagini e rappresentazioni della nascita del Cristo, queste non erano altro che "sacre rappresentazioni" delle varie liturgie celebrate nel periodo medievale.
Per i primi veri presepi dobbiamo aspettare il XV secolo quando si diffuse l'usanza di collocare nelle chiese grandi statue permanentemente, tradizione che si diffuse anche per tutto il XVI secolo. Uno dei più antichi, tuttora esistenti, è il presepe monumentale della Basilica di Santo Stefano a Bologna, che viene allestito ogni anno per Natale.
Dal XVII secolo il presepe iniziò a diffondersi anche nelle case dei nobili sotto forma di "soprammobili" o di vere e proprie cappelle in miniatura anche grazie all'invito del papa durante il Concilio di Trento poiché ammirava la sua capacità di trasmettere la fede in modo semplice e vicino al sentire popolare. Nel XVIII secolo, addirittura, a Napoli si scatenò una vera e propria competizione fra famiglie su chi possedeva il presepe più bello e sfarzoso: i nobili impegnavano per la loro realizzazione intere camere dei loro appartamenti ricoprendo le statue di capi finissimi di tessuti pregiati e scintillanti gioielli autentici. Nello stesso secolo a Bologna, altra città italiana che vanta un'antica tradizione presepistica, venne istituita la Fiera di Santa Lucia quale mercato annuale delle statuine prodotte dagli artigiani locali, che viene ripetuta ogni anno, ancora oggi, dopo oltre due secoli.
Con i secoli successivi il presepe occupò anche gli appartamenti dei borghesi e del popolino, ovviamente in maniera meno appariscente, resistendo fino ai giorni nostri.
I presepi popolari più conosciuti sono quelli di San Gregorio Armeno a Napoli.
Origine delle ambientazioni
Si riproducono tutti i personaggi e i posti della tradizione, dalla grotta alle stelle, dai Re Magi, ai pastori, dal bue e l'asinello agli agnelli, e così via. La rappresentazione può essere sia vivente che iconografica.
Molti ignorano che gran parte delle ambientazioni utilizzate nel presepe derivano dai Vangeli apocrifi e da arcane tradizioni dimenticate. I Vangeli canonici infatti parlano della natività in modo molto vago tralasciando molti particolari scenografici.
Tanto per citarne alcuni, il bue a l'asinello, simboli immancabili di ogni presepe, derivano da un'antica profezia di Isaia che dice "Il bue ha riconosciuto il suo proprietario e l'asino la greppia del suo padrone". Sebbene Isaia non si riferisse assolutamente alla nascita del Cristo, l'immagine dei due animali venne utilizzata comunque come simbolo degli ebrei (rappresentati dal bue) e dei pagani (rappresentati dall'asino).
Anche la stalla o la grotta in cui Maria avrebbe dato alla luce il Messia non compare nei Vangeli canonici: sebbene Luca citi i pastori e la mangiatoia, nessuno dei quattro evangelisti parla esplicitamente di una grotta o di una stalla. Anche quest'informazione arriva dai Vangeli apocrifi. Tuttavia, l'immagine della grotta è un ricorrente simbolo mistico e religioso per molti popoli,soprattutto del settore mediorientale: del resto si credeva che anche Mitra, una divinità persiana venerata anche tra i soldati romani, fosse nato in una grotta il 25 dicembre.
I Re Magi, invece, derivano dal Vangelo dell'infanzia armeno. In particolare, questo vangelo colma le lacune che invece Matteo lascia stagnanti, ovvero il numero e il nome di questi sapienti orientali: il vangelo in questione fa i nomi di tre sacerdoti persiani: Melkon, Gaspar e Balthasar.
Così i re magi entrarono nel presepe, sia incarnando le ambientazioni esotiche sia a simbolo delle tre popolazioni del mondo allora conosciuto, ovvero Europa, Asia e Africa.
Tuttavia, alcuni aspetti derivano da tradizioni molto più recenti.
Il presepe napoletano, per esempio, aggiunge alla scena molti personaggi popolari, osterie, commercianti e case tipiche dei borghi agricoli, tutti elementi palesemente anacronistici. Nel presepe bolognese, invece, vengono aggiunti alcuni personaggi tipici, la Meraviglia, il Dormiglione e, di recente, la Curiosa.

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