Il Giardino dei libri

martedì 2 febbraio 2016

2 Febbraio - La Candelora

Essa si colloca fra il Solstizio d’Inverno e l’Equinozio di Primavera, all’inizio del mese di Febbraio, e più esattamente il giorno 2. 
A causa della sua collocazione stagionale, quando le giornate iniziano visibilmente ad allungarsi, è stata oggetto di proverbi e detti popolari di carattere metereologici, quale ad esempio:
"Quando vien la Candelora
 dall'inverno semo fora,
 ma se piove o tira vento,
 nell'inverno semo dentro."
Questo sta a indicare che se il giorno della candelora si avrà bel tempo, la primavera sta già arrivando. 
Al contrario, se alla candelora fa brutto, si dovranno aspettare ancora diverse settimane perchè l'inverno finisca e giunga la primavera.
"Per la Candelora dall'inverno semo fora; 
però se è sole o solicello ce n'è un altro mesarello"
In Toscana il detto recita:
"Se nevica o gragnola dell' inverno siamo fora
, se c'è sole o solicello siamo ancora a mezzo inverno
, se c'è sole o sole tutto dell' inverno resta il brutto"

Questo sta a indicare che se il giorno della candelora si avrà bel tempo, si dovranno aspettare ancora diverse settimane perchè l'inverno finisca e giunga la primavera; al contrario, se alla candelora fa brutto, la primavera sta già arrivando.

La Candelora è' quindi un momento di passaggio, tra l'inverno/buio/"morte" e la primavera/luce/risveglio.
Questo passaggio viene celebrato attraverso la purificazione e la preparazione alla nuova stagione.

La Candelora è anche legata ad alcune feste di origine agreste; in molti Paesi europei, infatti, si cucinano piatti specifici, che vengono offerti alla natura o alle fate, come in Francia, dove è conosciuta soprattutto per essere il giorno delle crêpes.

Altre credenze parlano addirittura di usi particolari delle bestie:

In alcuni luoghi la Candelora è chiamata “GIORNO DELL’ORSO”, in quanto l’ORSO si sveglierebbe dal letargo e uscirebbe fuori dalla sua tana per vedere come e' il tempo e valutare se sia o meno il caso di mettere il naso fuori. Se è nuvoloso con tre salti annuncia l'arrivo della primavera, se invece è sereno rientra nella tana prevedendo altri 40 giorni di freddo. In certe zone del Piemonte, ancora oggi i giovani cercano in ogni modo di far uscire qualcuno di casa e, circondandolo, gridano: "Abbiamo fatto uscire l'orso!".
Un proverbio piemontese in questo senso recita: "se l'ouers fai secha soun ni, 
per caranto giouern a sort papì". Ovvero, se l'orso fa asciugare il suo giaciglio (cosa che starebbe a indicare tempo bello per quel giorno) per quaranta giorni non esce più. 

Un altro proverbio simile al primo, ma meridionale in questo caso, sostiene che se il due Febbraio il tempo è buono, l’orso ha la possibilità di farsi il pagliaio e quindi l’inverno continua.

L'orso era anche protagonista di alcuni riti rurali del mese di febbraio, collocati nel ciclo agreste/vegetativo: al termine di una caccia simulata, l'orso viene catturato e portato all’interno del paese dove viene fatto oggetto di dileggi e di scherzi. L'epilogo può variare dall'"uccisione" dell'orso alla sua liberazione/fuga e ritorno alla natura. La figura dell’orso è rivestita da qualcuno del luogo che non deve essere riconosciuto fino alla fine della rappresentazione rituale. 

A Mentoulles nel periodo di Carnevale, un uomo veniva mascherato da orso e tirato con una catena o una corda per le strade, dove veniva schernito e bastonato.
 A Volvera invece (sempre nel periodo di carnevale) un personaggio mascherato da orso apriva la sfilata in costume, e in questa "rappresentazione" veniva mostrato pure il giaciglio asciutto dell'orso (riallacciandosi al proverbio precedentemente citato).
 A Urbiano si celebra la "festa dell'orso": qualche giorno prima della ricorrenza, i cacciatori con il volto annerito, andavano alla ricerca dell'orso, che (rappresentato da un uomo travestito) veniva immancabilmente trovato la sera della vigilia. Cacciatori, "orso", e domatore visitavano le stalle e le osterie con il pretesto di spaventare la gente (e le ragazze) si lasciavano andare a trasgressive bevute. Il giorno dopo, l'orso compariva in paese e, dopo aver fatto il giro della borgata, ballava con la ragazza più bella prima di scomparire per ritrasformarsi in uomo. 

Questa festa ricorre non solo in Piemonte e nelle zone dell'arco alpino, ma anche in altre regioni (e nazioni); in tempi più remoti l'orso della festa era vero, portato in giro da un montanaro/domatore che andava da un paese all'altro facendo ballare l'orso nelle piazze. In seguito questo uso scomparve e in alcuni paesi, per mantenere la tradizione, l'orso fu sostituito da una persona appositamente mascherata che ripeteva la stessa pantomima.
 A Putignano, in Puglia, chi impersonificava l'orso girava per le vie del paese, fermandosi nelle piazze: lì, al suono di tamburi, si metteva a ballare la tarantella, tra i presenti disposti in cerchio che battevano le mani a tempo e lo punzecchiavano e colpivano con qualche sberla. A volte, a seconda del tempo, l’orso imitava o no l’atto del costruire il suo rifugio (u pagghiar’). 

Questi riti riproponevano comunque una tradizione antica che celebrava la festa del ritorno della luce e della bella stagione, con la sconfitta delle forze del buio e del freddo. Nello svolgimento di questi riti traspare la simbologia dell'orso (che con l'inverno va in letargo e si risveglia a primavera), interprete della forza primitiva della natura. L'orso può anche essere accostato alla figura dell'"uomo selvaggio". In entrambe le raffigurazioni rappresenterebbe comunque il binomio natura - uomo.
Va notato inoltre che, nei giorni prossimi alla Candelora, in Europa si festeggiano numerosi Sant’Orso, dei quali il più noto è quello di Aosta, di origine irlandese (celtica), che si festeggia il 10 febbraio. 

L’orso, esotericamente è una rappresentazione della nigrido, cioè dello stadio immediatamente precedente la prima illuminazione. La “caccia all’orso” ha quindi un antico significato esoterico di “purificazione della nigredo”.

L’Orso compare anche, in molte culture sciamaniche, come animale iniziatico.

Il Sant’Orso festeggiato il 1 febbraio possedeva una fontana miracolosa, da lui stesso fatta scaturire, chiamata “fontana di Sant’Orso”, che ancora oggi continua a offrire la sua acqua, sotto la cappella fatta costruire nel 1649.

Per gli americani è invece la MARMOTTA a decretare l'arrivo o meno della primavera. 
Il 2 febbraio viene chiamato il "GIORNO DELLA MARMOTTA" e, in particolare, un paese chiamato Punxsutawney a nord di Pittsburgh in Pennsylvania, ospita il Groundhog Day (giorno della marmotta) e qui vi è anche stato girato un famoso omonimo film, con l’attore Bill Murray.

In questo giorno una marmotta chiamata Punxsutawney Phil è al centro di una rappresentazione in cui viene fatta uscire dalla sua tana e se vede la sua ombra, l'inverno continuerà per altre sei settimane.

Origini e festività religiosa


Candelora (o Candelaia) è il nome popolare (deriva dal latino “candelorum, per “candelaram”, ovvero “benedizione delle candele”) attribuito dalla Chiesa e dai fedeli alla festa religiosa che si celebra il 2 febbraio per ricordare la Presentazione al tempio di Gesù (la candela come simbolo di Cristo "luce per illuminare le genti", come venne chiamato il neonato Gesù in tale occasione dal vecchio Simeone), con il conseguente rito di purificazione che la Vergine Maria seguì dopo aver dato alla luce Gesù Cristo, in conformità con la legge mosaica (la festa è infatti anche detta “Purificazione di Maria”).
Nel Levitico è infatti prescritto che ogni madre, che avesse dato alla luce un figlio maschio, sarebbe stata considerata impura per sette giorni, e che per altri trentatré non avrebbe dovuto partecipare a qualsiasi forma di culto. Siccome il giorno della nascita di Gesù era stato fissato, per convenzione, al 25 dicembre, ecco coincidere perfettamente la purificazione della Vergine con la festa pagana di Giunone purificata. Nel tempo, la Purificazione della Vergine aveva preso il sopravvento sulla presentazione al tempio di Gesù, ma l’ultima riforma liturgica ha ribaltato un’altra volta il tutto.
 La Presentazione al Tempio del Signore era già celebrata in Oriente, a Gerusalemme, dal IV secolo, in base alla testimonianza del barnabita Egidio Caspania, con il nome di “Quaresima dopo l’Epifania”.
 Eteria in “Pellegrinaggio in Terra Santa” narra: “… il quarantesimo giorno dopo l’Epifania, qui (a Gerusalemme), è celebrato con grande solennità. In quel giorno si fa una processione (affluenza numerosa di fedeli) all’Anastasis (Basilica sul luogo della morte e della risurrezione) e tutti vi partecipano; ogni cosa si compie con grande festa, come a Pasqua. Predicano tutti i sacerdoti e pure il Vescovo, commentando sempre quel passo del Vangelo nel quale si dice che Giuseppe e Maria, il quarantesimo giorno, portarono il Signore al Tempio, e che Simeone e la profetessa Anna, figlia di Fanuele, lo videro, e si ricordarono delle parole che essi dissero alla vista del Signore e l’offerta che i genitori fecero.
Dopo aver compiuto tutte e le cerimonie usuali, si celebrano i Misteri e avviene il commiato” (ed. Città Nuova, Roma 2000, pag. 146).
 Da Gerusalemme tale festività si diffuse in tutto l’Oriente, e in particolar modo a Bisanzio e i monaci bizantini in seguito diffusero questa festività anche in occidente.
 Con l’imperatore Giustiniano I divenne giorno festivo e assunse il nome di “Ypapanté” (incontro del Signore).
Festa di origini antichissime, cristianamente fu istituita da Papa Gelasio I tra il 492 e il 496 come festività interna al culto cristiano, probabilmente in sostituzione di alcune usanze pagane.
 All’inizio del V secolo, Cirillo d’Alessandria comincia a parlare di lumi.
 La commemorazione del rituale di purificazione, effettuato da Maria Vergine, dal Vicino Oriente passò a Roma, e, già dal VIII secolo d.C., la festa aveva raggiunto una solennità imponente. A Roma, nel Medioevo, si compiva una lunghissima processione che partiva da Sant'Adriano e attraversava i fori di Nerva e di Traiano, attraverso il colle Esquilino, per raggiungere infine la basilica di Santa Maria Maggiore. 

La benedizione delle candele è un’usanza successiva alla processione, ed è documentata a Roma tra la fine del IX e l’inizio del X secolo, probabilmente introdotta dal clero francogermanico. Venivano accese con un cero in una cerimonia simile a quella della veglia pasquale, mentre ora sono semplicemente benedette. Secondo la tradizione, i ceri benedetti erano conservati in casa dai fedeli e venivano accesi, per placare l’ira divina, durante i violenti temporali, aspettando una persona che non tornava, o che si pensava fosse in grave pericolo, assistendo un moribondo, durante le epidemie o i parti difficili.
In tempi più recenti, la processione si accorciò, svolgendosi intorno alla Basilica di San Pietro. In quell'occasione, all'interno della Basilica, sull'altare venivano poste delle candele, con un fiocco di seta rosso e argento, e con lo stemma papale. Erano scelte tre di queste e la più piccola era consegnata al Papa, mentre le altre due andavano al diacono e al suddiacono ufficiali. Una volta benedetti i ceri, il Papa consegnava la sua candela al cameriere segreto, insieme con il paramano di seta bianca, che gli era servito per proteggersi le mani dalla cera calda, e passava alla benedizione dei ceri.
In molte regioni italiane la Candelora viene ancora oggi rievocata attraverso la messa in scena della Madonna con Gesù e San Simeone. 
A Chiaromonte, in Sicilia, alla vigilia della festa, le donne del paese effettuavano una processione che le portava in cima alla montagna dove si purificavano bagnandosi con la rugiada. 
Nel resto d'Italia, la festa della Candelora resta legata ai ceri benedetti. Questi ceri vengono custoditi nelle case, e si ritiene tengano lontani gli influssi maligni. 
In alcuni paesi costieri si riteneva che i ceri benedetti durante la Candelora servissero a ritrovare gli annegati. Gettati nell'acqua si sarebbero fermati dove si trovava il corpo dell'annegato.
Si è detto che probabilmente diventò festa cristiana, sotto Papa Gelasio I, per sostituirne una pagana: la “februatio”, una parte della celebrazione della festività religiosa romana chiamata Lupercali o Lupercalia, che celebrava il fauno Luperco, dio della fertilità protettore del bestiame e delle messi. Questi riti si svolgevano a Roma alle Idi di Febbraio, per i romani ultimo mese dell’anno, e servivano a purificarsi prima dell’avvento dell’anno nuovo, e a propiziarne la fertilità.
Plutarco ce li descrive minuziosamente nelle sue “Vite parallele” (nella Vita di Giulio Cesare): essi venivano celebrati nella grotta chiamata Lupercale, sul colle romano del Palatino, dove, secondo la leggenda, i fondatori di Roma, Romolo e Remo, sarebbero cresciuti allattati da una lupa. 
Secondo il rito celebrativo, nel giorno antecedente i Lupercalia, le donne ancora in cerca di marito scrivevano il loro nome su un biglietto che veniva messo in un grande contenitore; successivamente tali biglietti, estratti a sorte, venivano abbinati ai nomi dei maschi presenti così da formare delle coppie; queste coppie passavano insieme tutto il giorno della festività danzando e cantando; poteva succedere che alla fine dei festeggiamenti alcune di esse decidessero di sposarsi.
Inoltre, nello stesso giorno, due ragazzi (i luperci) di famiglia patrizia, nella grotta sul consacrata al dio, venivano segnati sulla fronte con del sangue di capra. Il sangue veniva quindi asciugato con della lana bianca intinta nel latte di capra, e a quel punto i due ragazzi dovevano sorridere.
Venivano poi fatte loro indossare le pelli degli animali sacrificati, e con le stesse pelli venivano anche fatte delle striscie: le cosiddette “februa” o “amiculum Iunonis”, da usare come fruste. Con queste i due giovani dovevano correre intorno al colle colpendo chiunque incontrassero, ed in particolare le donne, le quali volontariamente si offrivano alle sferzate per purificarsi e ottenere la fecondità.
Un altro rito della celebrazione era la “februatio”, ovvero la purificazione della città, in cui le donne scendevano in strada con dei ceri e fiaccole accesi, simbolo di luce.
 Secondo alcuni la festa derivava da una più antica dedicata alla Dea Lupa, in cui le sacerdotesse della dea indossavano pelli di lupa e ululavano, nei riti, alla luna. Esse praticavano la prostituzione sacra e il loro tempio era il "lupanare" nome che poi indicò semplicemente il postribolo.
Le meretrici romane infatti richiamavano i clienti con il verso del lupo.

Il famoso allattamento di Romolo e Remo ad opera di una Lupa si riferisce a questo, cioè all'intervento di una divinità. Poiché il rito riguardava un aspetto di Ecate, cioè Ecate Trivia, i templi erano posti nei trivi, così come vennero posti poi i postriboli nei trivi, da cui il termine triviale in senso spregiativo.
Sempre in merito alle origini italiche della Candelora, nel "Lunario Toscano" dell'anno 1805 troviamo questo testo: "La mattina si fa la benedizione delle candele, che si distribuiscono ai fedeli, la qual funzione fu istituita dalla Chiesa per togliere un antico costume dei gentili, che in questo giorno in onore della falsa dea Februa con fiaccole accese andavano scorrendo per le citta', mutando quella superstizione in religione e pieta' cristiana".

Per la cronaca, i gentili erano i pagani e la Dea Februa era Iunio Februata (Giunone purificata), che veniva celebrata a Roma alle Calende di febbraio. 
Durante i festeggiamenti a Giunone purificata e Giunone Salvatrice i fedeli correvano per la città portando fiaccole accese. Giunone era detta anche Lacinia, dea della luce e protettrice, fra l’altro, delle partorienti. Quindi, la purificazione di Maria fu fatta coincidere (per sostituirsi poi del tutto o quasi) con la festa pagana dedicata a Giunone e ai Lupercali.
Un’altra ipotesi, sostenuta per lo più da neopagani, ritiene che la festa cristiana della Candelora sia una cristianizzazione della festa celtica di Imbolc, celebrata originariamente il 1 Febbraio, e solo attualmente il 2 febbraio, probabilmente a causa di una confusione, ma non esiste nessuna evidenza del fatto che Imbolc fosse celebrata in epoca pre-cristiana al di fuori dell'Irlanda (da cui provengono gli unici resoconti scritti), mentre la festa della Candelora ha origine nel bacino del Mar mediterraneo, come abbiamo visto sopra.
 Il termine "Imbolc" in irlandese significa "in grembo", in riferimento alla gravidanza delle pecore, ed è anche il termine celtico per "Primavera".
Gli antichi Druidi chiamavano questo giorno il Festival del Ritorno della Luce, nel quale si risvegliava la Dea Terra. Dopo il sonno dell'Inverno spuntavano infatti i primi timidi fiori, il giorno era visibilmente più lungo, c’era la speranza della primavera.
Altri nomi per questa festività sono "Oimelc" ("latte di pecora") e "Brigid o Bride", dal nome dell’importantissima dea celtica a cui il giorno è consacrato. Questa era la dea del Fuoco, di natura Trina poiché aveva altre due sorelle a lei identiche e sempre di nome Bride. Per questo motivo era contemporaneamente la protettrice dei fabbri, dei poeti e dei guaritori. Nel culto di Bride non erano ammessi uomini. A Bride erano consacrate diciannove sacerdotesse, molto simili alle vestali romane.
Diciannove è il numero del ciclo metonico, in quanto ogni 19 anni le fasi lunari ricadono nello stesso giorno dell'anno solare. Le caratteristiche della dea Bride furono assorbite da Santa Brigida, una suora missionaria omonima (Saint Brigit) vissuta tra il 450 e il 525, i cui miracoli la fecero identificare, presso il popolo, con l'antica divinità pagana.
Come spesso accade cambiano i santi o gli dei, ma il significato di una data non cambia, e Santa Brigida, divenuta poi seconda patrona d'Irlanda (dopo S. Patrizio), resta ancora oggi la protettrice di fabbri, poeti e guaritori e viene raffigurata nei dipinti con una fiamma sopra la testa, in ricordo dell'Antico Fuoco di Bride.
Purificazione, rinnovamento, rinascita, Fonte di Giovinezza, nuova Luce che si diffonde, sono tutti aspetti di Imbolc e della Candelora.

Passano i secoli e i millenni ma il significato delle date fondamentali del Calendario non cambia. 
Molto simbolica era anche l'antica Festa della Candelora che prevedeva dapprima una processione per le strade dei paese a ceri spenti [nigredo], poi tutti i devoti, prima di entrare in chiesa, accendevano la candela [albedo], attingendo da un unico cero posto nell'ingresso.
Qui il simbolismo di tenebra e quindi Luce che proviene da unica fonte è chiaro, ma i fedeli, se numerosi, potevano anche far accendere il vicino direttamente dalla propria candela, divenendo in tal modo loro stessi portatori della nuova Luce.

Nessun commento:

Posta un commento

Qui puoi scrivere un tuo commento